Quanto fa uno diviso centosessantotto?
Poco. Un’ora rappresenta quasi lo 0,6% della settimana e questo, molti anni fa, era un mio mantra.
Ero un giovanissimo animatore, poi catechista, poi qualsiasi forma di -ista si possa pensare all’interno di gruppi giovanili organizzati e cresciuti all’ombra di svariati campanili (anche se la chiesa della mia parrocchia il campanile non ce l’aveva).
Nei vent’anni che sono seguiti ho visto una discreta fiumana di bambini e adolescenti. E mi chiedevo: quasi tutti mi sono affidati per un’ora alla settimana o poco più. Quanto può essere incisiva la mia azione di educatore?
Quanto posso collaborare, quanto posso contare sull’ambiente in cui questo bambino, questa bambina, cresce e vive nel resto della settimana?
Che aria respira in famiglia? A scuola? Nelle varie attività e negli ambienti che attraversa?
C’era sempre un po’ di tutto. Alcuni -pochi- bambini sembravano usciti dallo spot del Mulino Bianco, altri -pochi anch’essi- sembravano usciti dal trailer de “L’esorcista”. Nel mezzo, tutti gli altri.
Nel mezzo, io. Con un mandato chiaro, cioè passare loro nel modo più comprensibile e codificato, un insieme di principi e di esempi. Di fatto, fare loro catechismo.
Ma se il mandato era chiaro, come chiari erano a livello puramente mentale gli strumenti e i principi, meno chiaro era come gestire le situazioni reali.
In un tipo di attività che era prevalentemente affidato alla sensibilità femminile, il fatto di essere un maschio faceva sì che i “casi difficili”, quelli che altre faticavano a integrare nei loro gruppi, finissero a me. L’integrazione è una cosa bellissima e ci scalda il cuore. Quando sono gli altri a farla, sembra anche una cosa facile, inodore.
Credo di aver attraversato in quegli anni tutto lo spettro degli errori possibili. Dalla scorciatoia di privilegiare il gruppo a discapito del singolo fino al suo opposto, ugualmente fallimentare. Dal porre degli obiettivi impossibili forse anche per le famiglie del “Mulino Bianco” ad uno scialbo accontentarsi.
Credevo, e lo ribaltavo di conseguenza anche su tutto l’ecosistema in cui vivevano i ragazzi a me affidati, che fosse sostanzialmente inutile andare in una direzione per un’ora la settimana, se poi le restanti centosessantasette andavano in un’altra.
Questo tipo di riflessioni mi sono tornate prepotentemente nel cuore e nella testa in queste settimane. Abbiamo “ereditato” dal nostro Maestro un corso di Aikido bimbi. Un ritorno, con forme nuove, a sentieri percorsi a lungo nel nostro passato. Un’enorme opportunità di crescita attraverso un servizio delicato, una grande attestazione di fiducia, un gigantesco specchio che ti mette a nudo come solo sanno fare i più piccoli.
Un’ora di Aikido alla settimana. Qual è il mio ruolo? “Che cosa” esattamente sono messo lì a fare? E perché?
Che cosa si può fare con lo 0,6% di qualcosa?
Bastano sei grammi di lievito per far fermentare un kilogrammo di farina…Ma bisogna attendere quasi un’intera giornata.
Veleni diluiti allo 0,6% sono in grado di mandare all’ospedale o direttamente all’altro mondo una persona.
Lo 0,6% di qualcosa può fare dunque molto. In bene o in male, e qui l’educatore deve fare un tuffo nel mare dell’umiltà e della consapevolezza. Dove si vuole davvero orientare quello 0,6%?
Non ho difficoltà a dire che, tanti anni fa, ero certamente più immaturo e più presuntuoso di quanto non lo sia adesso. Credevo che il successo di un’iniziativa dipendesse esclusivamente da me e che gli eventuali fallimenti fossero da addebitare ad altri.
Credevo inoltre che i risultati, tutti i risultati, dovessero manifestarsi subito. Era una velleità. Legittima ma pur sempre velleità.
Sei grammi di Aikido alla settimana possono far lievitare il potenziale di un bambino, di una bambina. E anche quello di un adulto, il quale, anche se si allenasse venti ore la settimana, ne coprirebbe quasi il 12%. Comunque poco.
Si tratta di mettere dentro quei sei grammi, tutto il nostro mondo. Le cose che funzionano e quelle che non funzionano. Si tratta di metterci il cuore, soprattutto.
Lo diceva un grande educatore: “l’educazione è cosa di cuore”. Non (solo) testa. Non (solo) principi. E nemmeno (solo) integrazione e accettazione di tutti. Non (solo) regole di comportamento. Senza quell’elemento, tutto decade.
Così, quando capita ogni tanto di trovarmi di fronte uomini e donne che mi fermano per strada e si presentano svelando dietro le loro sembianze di adulti i bambini e ragazzi di molti anni fa, mi ricordo che quel po’ di lievito seminato da cuore a cuore, ha avuto bisogno di tempo per crescere e far crescere.
Bastano sei grammi per fare grandi cose.
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